Mi ha colpito molto, ascoltando l'ultima puntata di #digitalia "Io ascolto gente morta" venire a conoscenza dell'ultima trovata di Google: il cosiddetto Google Merchant Quality Algorithm. In pratica, un algoritmo del noto motore di ricerca che valuta, secondo i propri parametri, la qualità dei siti di e-commerce presenti nel suo indice, decidendo se essi siano ritenuti adatti ad occupare le prime posizioni nelle serp di ricerca.
Che dire? Si tratta di una logica conseguenza della politica che Google porta avanti da tempo, quella cioè di
decidere ciò che è bene e ciò che è male mostrare ai propri utenti. Una cosa che, sulla carta, è assolutamente legittima. Però. Però chiunque dipenda da Google non solo per le ricerche sul web ma anche per questioni professionali, sa bene che Google è tutto tranne che completamente trasparente nella propria attività.
Algoritmi importanti quali
Panda e
Penguin, ad esempio, introdotti nel 2011 e nel 2012 con il compito di ripulire le serp dai siti spazzatura (e quindi dannosi per gli utenti) hanno in realtà colpito migliaia di siti incolpevoli. Ancor più incerta e precaria è la situazione di chi utilizza quello che è l'unico, vero e redditizio, sistema di remunerazione sul web, ossia Adsense.
Le
linee guida di Adsense sono piuttosto chiare ma sono molti quelli che dichiarano di essere stati bannati ingiustamente. Fino a qualche tempo fa, non era possibile fare ricorso o chiedere chiarimenti. Oggi, perlomeno, prima di venire bannati si viene avvisati e invitati ad apporre gli opportuni cambiamenti.
Il problema è che dietro a un piccolo e-commerce, dietro ad un blog o un sito di informazioni che vive di Adsense, non ci sono più dei ragazzini dentro ad un garage, ma delle vere e proprie
imprese, talvolta con dipendenti e strutture che possono venire spazzate via con un click.
E' giusto questo? Chiaramente no. Ovunque ci sia un monopolio si crea una distorsione nel sistema. I monopoli, in economia, vengono combattuti duramente. Purtroppo nel mondo di internet non funzionano sempre le regole di controllo e di sanzione delle storture del sistema. Pensate che l'Unione Europea si è appena pronunciata riguardo il presunto abuso di posizione dominante di Microsoft con il suo browser,
Internet Explorer! Un argomento che era di attualità 3/4 anni fa. Ora si parla di Facebook, di Twitter, di Google Glasses, della lotta tra IE, Firefox e Chrome non se ne occupa più nessuno.
Oggi
Google e
Facebook hanno un
monopolio difficilmente scalfibile. Se anche qualcuno inventasse un motore di ricerca migliore di Google da un punto di vista algoritmico non avrebbe la possibilità di farlo funzionare poichè servirebbero investimenti quasi miliardari per creare le strutture capaci di ospitare già solo i server che elaborano e archiviano le pagine web di tutto il mondo.
Idem dicasi per Facebook. Nascono ogni giorno migliaia di social network, ma
nessuno sarà mai seguito quanto Facebook (o Twitter) poichè chi ci va non trova le persone che conosce. La gente è su Facebook e quindi è la che occorre essere se si vuole una vita social!
I
monopoli, nel mondo di internet sono diversi da quelli del mondo reale. Ma gli effetti di questi monopoli
hanno conseguenze reali nella vita delle persone. Occorre considerare nuove
normative e, soprattutto, occorre una
maggiore consapevolezza di come il mondo attuale funziona grazie al web.
Bisogna che le istituzioni europee comprendano che
non serve far pagare multe milionarie a Microsoft per il suo Internet Explorer quanto imporre a tutti questi colossi di
pagare le tasse nei paesi in cui realizzano profitti (e questo è il primo, e più importante, punto) e, in secondo luogo stimolare se non la concorrenza (che come abbiamo visto non è cosa semplice) quanto perlomeno la consapevolezza dei rischi che si corrono anche come semplici utenti e cittadini.
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